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  • Sara Tosi

Il manto della tristezza

Ci sono momenti in cui la tristezza bussa alla nostra porta, la facciamo entrare e ci avvolge come un manto, una coperta morbida e scura, la luce lentamente si spegne e ci accucciamo per terra rannicchiati per non sentire freddo.

Il respiro si fa lento, appena accennato da fuori, gli occhi si abbassano, gli arti si indeboliscono.

E vorremmo stare lì in quello stato dormiente, privo di attività, avere la libertà di essere incoscienti, per un giorno vorremmo sentirci distanti dal mondo. E lì, nella profondità della terra abbiamo l’occasione di trascendere, trovare l’anima e il divino e riscoprire la speranza che ci porta a ritrovare nutrimento e virtù.

Una pausa creativa, con la definisce Etty Hillesum: “Bisogna anche accettare i momenti "non creativi"; più li si accetta onestamente, più essi passano in fretta. Si deve avere il coraggio di fermarsi, di essere talvolta vuoti e scoraggiati. “

Il manto della tristezza a volte si prende così possesso di noi, attacca il polmone e chiude e stritola il cuore, la gioia smette di diffondere nel corpo e il mondo fuori appare buio, noioso e così ne interrompiamo completamente il rapporto. Il manto della tristezza che prima ci avvolgeva morbido diviene pesante e oppressivo, così anche il corpo si indebolisce, per mancanza di scambio con l’esterno e le difese immunitarie crollano. Non desideri più prenderti cura delle umili faccende di tutti i giorni.

E sempre Etty racconta: “Le depressioni pessimistiche devono essere considerate come pause creative, nelle quali si ritemprano le forze. Se siamo consapevoli, le depressioni passano rapidamente. Non bisogna sentirsi depressi, per via di una depressione.”


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